OMELIA
IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ
DI S. GIUSEPPE
Zona Industriale di Gravina in Puglia
19 marzo 2024
2Sam 7,4-5a.12-14a.16
Sal 88 (89)
Rm 4,13.16-18.22
Mt 1,16.18-21.24a
La festa di san Giuseppe è tradizionalmente anche la festa dei papà, perché Giuseppe
era padre e custode di Gesù.
Così, questa ricorrenza diviene l’occasione per riflettere sulla figura del padre, dei
padri.
Qualche giorno fa Luciano Moia su Avvenire ha scritto un articolo interessante proprio
su questo tema, al quale vorrei ispirarmi.
Siamo indubbiamente e da molto tempo in una fase storica che vede
l’indebolimento della figura paterna, se la confrontiamo con il dato fenomenologico
che per secoli e secoli ci è stato consegnato in termini di vissuto concreto.
Una paternità debole, ridotta oramai a semplice impulso affettivo, avendo progressivamente
azzerato ogni riferimento normativo e di identificazione simbolica secondo
un quadro equilibrato, che prevede l’alterità e la distinzione di ruoli quali chiavi essenziali
per la crescita dei figli, della famiglia e della società.
Giustamente abbiamo voluto prendere le distanze – e dobbiamo volerlo sempre e
con forza – dalla figura e dalla concezione del padre-padrone (senza sostituirvi tuttavia,
speriamo, quella di madre-padrona), cioè di quel padre cui si doveva solo rispetto,
riverenza, obbedienza, sempre e comunque, anche dinanzi ad atteggiamenti prepotenti,
soffocanti e addirittura violenti.
Il problema è, però, che abbiamo sostituito la figura del padre-padrone con quella
del padre evanescente, inconsistente, eterea, che cerca solo in ogni modo di elemosinare
affetto, comprensione e approvazione all’interno della famiglia stessa.
Siamo, in effetti, in una strana posizione, a metà strada tra un passato che vorremmo
superare e un presente che si manifesta con tutti i suoi limiti. Occorre, sì, rifiutare con
decisione la forza del padre-padrone, ma altrettanto è necessario evitare la deriva del
padre ‘mammo’.
Al momento non riusciamo ancora a superare la crisi della paternità con una nuova
prospettiva che sappia integrare dignità, rispetto, complementarietà, da un lato, con identificazione
simbolica di un sano ruolo paterno a tutto vantaggio della tenuta e della
crescita delle relazioni intra-familiari ed extra-familiari.
È in gioco, naturalmente, la giusta integrazione e valorizzazione tanto del ruolo paterno,
quanto di quello materno. E in effetti, crisi della paternità, in fondo, è crisi della
famiglia o della genitorialità.
Occorre seriamente riconsiderare l’importanza della reciprocità, che è rispetto dialogico,
complicità feconda di vita e di crescita armoniosa.
San Giuseppe, con il suo atteggiamento del prendersi cura, senza rinunciare al proprio
ruolo – nonostante l’atipicità della situazione – , con la sua determinata scelta della
discrezione, della custodia, della guida, e – il vangelo lo lascia immaginare –
dell’affetto sincero e concreto per Maria sua sposa e per Gesù, ci trasmette la speranza
che sia possibile concretamente sanare e ripristinare il ruolo di ciascuno; ci ricorda che
la partita si gioca in due (padre e madre), che il processo educativo dei figli richiede un
padre e una madre che siano ben identificati nel proprio ruolo e nella propria funzione,
che vivano una sana reciprocità e accettino la fatica di accompagnare i propri figli,
specie fino a quando faranno ingresso nella adultità della vita, ma anche dopo, sempre.
Ciò vale per la famiglia, ma ciò vale, a ben vedere, per la comunità umana, per
quella ecclesiale e per quella civile. Tutti noi abbiamo il dovere etico di lasciare spazio
ai nostri figli, ai nostri giovani, di indicare loro la strada, di suscitare la loro libera responsabilità,
di favorire la loro crescita, il loro divenire adulti, perché il segreto e il mistero
della vita continui il suo corso.
Giuseppe Russo
Vescovo