GIUSEPPE RUSSO
VESCOVO DI
ALTAMURA-GRAVINA-ACQUAVIVA DELLE FONTI
Riflessione, tra il Sabato Santo e la Veglia Pasquale, 2025
19 aprile 2025
Il Verbo incarnato è morto, e dorme inondando di silenzio tutti e tutto.
“Mai un uomo ha parlato così!” (Gv 7, 45), “Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo” (Lc, 7, 16).
Frasi come queste, pronunciate da coloro che avevano avuto la fortuna di averlo incontrato, non saranno più ascoltate. Gesù, il Maestro, dorme il sonno della morte, nel sepolcro freddo senza vita.
“Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14, 1), “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20), “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Quante volte, il Signore, ha rassicurato i suoi discepoli e li ha riempiti di speranza, li ha resi gioiosi, felici, per la sua parola, per la sua presenza.
Ora, non più. Ora, solo il silenzio.
E tuttavia, il silenzio parla. Il silenzio della Parola può essere fecondo quanto la Parola stessa.
Egli, infatti, continua ad annunciare la vita e la resurrezione anche mentre giace nel sepolcro. “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2, 19).
È questa la parola che non smette di risuonare nel silenzio totale.
Ed è questa la parola che fa guardare oltre, che produce pazienza nella sofferenza e nella fatica del vivere, che consola nel dolore, che genera speranza e illumina il futuro di novità, in questa vita e oltre.
Così, il silenzio del Sabato Santo diviene ancora più eloquente della stessa parola che il Signore aveva donato ai discepoli, alle folle.
La parola ammutolisce. In questo senso, il Sabato Santo può essere metafora per noi, per la nostra parola e il nostro silenzio.
Le nostre parole, quante, troppe!
Siamo, in genere, tutti gravidi di parole. Ne abbiamo di ogni per tutti i momenti, tutte le circostanze, tutti i molteplici interlocutori o destinatari ignari: adulti, ragazzi, parenti, amici, colleghi, dirigenti, amministratori, presbiteri, laici.
A volte le nostre sono parole belle, che portano leggerezza, amicizia, serenità, sono parole gioiose, costru2ve.
Spesso, tuttavia, la nostra loquacità può far male, può disturbare, può ferire. Le nostre parole, a volte, sono inopportune, sconvenienti, insidiose.
È vero che talvolta siamo tenuti a dire parole scomode, ma necessarie, parole doverose ancorché ostiche, per denunciare comportamenti inadeguati, per annunciare momenti o notizie difficili da accogliere e da digerire, che non fanno piacere, ma che è importante ricevere.
È vero che, in alcuni casi, vorremmo piu3osto tacere che parlare, ma le responsabilità proprie di ognuno di noi ci impongono di intervenire, di parlare, di comunicare il nostro pensiero.
Il Sabato Santo è tempo fecondo di parole vive e generative di sentimenti nuovi, parole che non si possono ascoltare con gli orecchi, parole che si ascoltano col cuore e con l’intelligenza, parole che solo il silenzio scelto e valorizzato interiormente sa provocare (pro-vocare, chiamare, suscitare, far venire in vita).
E sono, e saranno parole nuove, parole di vita nuova, parole di rinnovamento, di luce per un nuovo cammino.
È la luce della Pasqua, che esplode proprio a partire dal silenzio del sepolcro, che squarcia le tenebre ed immette chiunque è investito (o piuttosto si lascia investire) da essa in una esistenza rinnovata.
La Pasqua vera ridona sì fiato e voglia di parlare, di comunicare, ma opera un cambiamento decisivo: parole nuove o, per meglio dire, parole de8e in modo nuovo:
nel tono, nell’a3eggiamento, nello sguardo. Niente più asprezza, via la facile irridente ironia, abbandonate le parole furbe, sdolcinate, seducenti. Ora solo parole di pace, parole gentili, parole che sanno far vivere e sperare in una vita nuova, bella e feconda di altra vita.
È il miracolo della Pasqua.
Il Sabato Santo ci suggerisce di scendere dentro la nostra interiorità, di rileggere la nostra vita con verità e misericordia, con umiltà e fiducia. Il Sabato Santo ci conduce al cuore della nostra esistenza, ci concede di presidiare il nostro presente, all’incrocio con il nostro ieri e il tempo che verrà. Ci restituisce l’energia necessaria per dare al nostro cammino esistenziale e alle nostre relazioni una forma nuova, all’insegna della bellezza.
Così il volto sfigurato di Cristo deposto nel sepolcro diviene il volto trasfigurato del Risorto.
Così il silenzio del Sabato Santo diviene la parola nuova da ‘essere’ prima, e poi da comunicare, da donare.
Così le parole vecchie, deformi e insulse, lasciano il posto a nuove parole, belle da dire, ancor più belle da ascoltare.
Perché vogliamo solo vivere, tutti; vogliamo essere vivi, in pienezza, non vogliamo più vivacchiare, tirare avanti, e nemmeno vogliamo illuderci di essere immortali. Vogliamo scambiarci vita vera.
Ed è vero, la bellezza ci salverà: la Bellezza ci ha già salvati!