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IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.”

 

Commento di Filippo Piccininni Sof 2,3; 3,12-13 – Sal 145 – 1Cor 1,26-31 – Mt 5,1-12a

 

 

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4, 17) questo era l’invito che, domenica scorsa, il Signore Gesù rivolgeva a ciascuno di noi «sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali» (Mt 4,13), strade maledette e dimenticate del nostro essere e del nostro tempo, riaccendendo così in noi il desiderio della speranza e della salvezza che vengono da Dio. Oggi, invece, la liturgia della Parola di questa IV Domenica del Tempo Ordinario, in continuità con quell’annuncio, mostra Gesù maestro, che nello spirito dei profeti, ricorda come anche i poveri hanno parte alle benedizioni del Signore e quindi alla beatitudine del regno dei cieli.

Siamo nella prima parte del famoso discorso della montagna del Vangelo di Matteo, dove Gesù, che sale sul monte per parlare e insegnare alle folle, viene presentato come il nuovo Mosè, che è venuto a promulgare una legge nuova. Ma qual è la novità di questa legge? E’ risaputo che gli Ebrei coltivavano la convinzione che la prosperità materiale, il successo, fossero segni della benedizione di Dio, e segno di maledizione fossero la povertà e la sterilità. Questa ambiguità viene sfatata dalla liturgia di questa domenica. Nella prima lettura il profeta Sofonia, nel suo invito alla conversione, invita il popolo dicendo: «Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore.» (Sof 2, 3).
E’ curioso, in questo passo, come il profeta associ la povertà a uno stato di fedeltà alla volontà di Dio e nello stesso tempo invita a cercare la giustizia e l’umiltà, affermando poi nei seguenti versi che proprio l’umiltà sarà ciò che caratterizzerà il popolo di Israele. «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero» (Sof 3,12) la povertà e l’umiltà saranno espressione del confidare nel Signore da parte del popolo di Israele. Con s. Paolo nella seconda lettura, la liturgia della Parola ci chiede di fare un passo ulteriore. Paolo ci invita ha riflettere sul senso della chiamata che ciascuno di noi ha ricevuto dal Signore. Molte volte l’apostolo sottolinea l’espressione «Dio lo ha scelto» (1 Cor 1, 27-28), ma cosa? Dio ha scelto tutto ciò che è stolto, debole, ignobile agli occhi del mondo e lo sceglie «perché nessuno possa vantarsi» (1 Cor 1, 29) di fronte a lui. Anzi proprio la chiamata da parte di Dio è una chiamata ad esistere, è una chiamata alla dignità filiale che opera in noi per mezzo del Figlio Gesù Cristo, fonte di «giustizia, santificazione e redenzione» (1 Cor 1, 30).

Proprio per questa dignità, che non ci viene data per i nostri meriti, ma perché «Dio lo ha scelto», Dio ha voluto così, l’uomo che «si vanta, si vanti nel Signore.» (1 Cor 1, 31). Ecco allora con che forza la parola “Beati” viene pronunciata da Gesù maestro nel discorso della montagna. «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.» (Mt 5,3-5), Gesù con la parola “beato” esprime la logica di Dio dove gli ultimi sono scelti rispetto ai primi, i piccoli rispetto ai grandi; tutti coloro che sono sventurati o maledetti sono felici, perché sono preparati da Dio a ricevere la benedizione del regno, ma nello stesso tempo l’umiltà e la povertà, che concerne l’essere in questo stato, è ciò che deve caratterizzare l’animo umano così da essere disponibile e capace ad accogliere il regno di Dio che si presenta all’uomo nella persona di Gesù. Le nove beatitudini di Matteo si riassumono nella prima: «Beati i poveri in spirito». Le altre sono un corollario e una esplicitazione di questa. Proclamando beati i poveri e gli umili Gesù parla il linguaggio che Dio aveva già usato col suo popolo attraverso i profeti e nello stesso tempo purifica le convinzioni ebraiche di cui prima parlavamo. Egli stesso da esempio di povertà e umiltà ai suoi discepoli cosi da testimoniare non solo un Dio vicino, che conduce la miseria dell’uomo al suo cuore, ma come quella stessa miseria diventa opportunità in cui la grazia del Signore opera benedizioni.
Il primo povero, infatti, è Gesù, che essendo ricco si è fatto povero per noi. C’è quindi in questa beatitudine un appello a seguire quel Gesù che non ha trovato posto nell’albergo, che non aveva una pietra su cui posare il capo, che è morto povero e spoglio su una croce. E lo ha fatto per darsi tutto agli altri. La povertà proclamata da Gesù non deve essere solo la caratteristica di ogni cristiano, ma il distintivo e la beatitudine della Chiesa e della Comunità in quanto tale, perché è ancora e sempre nei poveri che si incontra colui che è venuto a salvare.

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