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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno B, La carne e il sangue del figlio

XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno B – Gv 6,51-58

La carne e il sangue del figlio

Gesù riprende l’affermazione del v. 48 riformulandola in questo modo: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo» (v. 51a). E prosegue: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (v. 51b). Si compie un passo in avanti: il pane che Gesù darà non solo si identifica con la sua persona, ma è la sua stessa carne che deve essere mangiata perché possa comunicare la vita. Nel linguaggio biblico la carne non è altro che la persona umana sebbene in tutta la sua limitatezza e fragilità. L’identificazione del pane della vita con la
«carne» di Gesù orienta l’attenzione dell’ascoltatore/lettore al pane che nell’ultima cena Gesù darà ai suoi discepoli come segno del suo corpo.

I giudei esprimono nuovamente la loro incredulità chiedendosi: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (v. 52). Gesù non risponde alla loro domanda, ma prosegue: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (v. 53). Con queste parole Gesù, invece di attenuare il senso dell’affermazione precedente, ne accentua il carattere realistico sottolineando come per avere la vita sia necessario non solo mangiare la sua carne ma anche bere il suo sangue. Nel linguaggio biblico l’espressione
«carne e sangue» designa la persona umana nella sua totalità. Il fatto che la carne sia disgiunta dal sangue rimanda alle parole della cena e,dall’altra parte, allude da una parte ai sacrifici del tempio, nei quali carne e sangue venivano separati, e dall’altra alla morte di Gesù in croce, interpretata in chiave sacrificale.

Nei due versetti successivi Gesù prosegue: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (vv. 54-55). Con queste espressioni egli non fa altro che ribadire quanto affermato precedentemente, sottolineando che la sua carne è «vero» cibo e il suo sangue è «vera» bevanda: l’effetto di questo mangiare e bere è la vita eterna che appare come una realtà già presente e al tempo stesso futura, in quanto coincide con la risurrezione che avrà luogo «nell’ultimo giorno».

Il significato della vita promessa a chi mangia la sua carne e beve il suo sangue viene ulteriormente specificato da Gesù con queste parole: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per (mezzo di) il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per (mezzo di) me» (vv. 56-57). Tra Gesù e colui che mangia il suo corpo e beve il suo sangue, si instaura dunque un’intima comunione di vita, che si modella su quella che unisce Gesù al Padre, anzi ne è la conseguenza e lo sviluppo logico: come il Figlio, che è stato mandato dal Padre, attinge da lui tutta la sua vita, così chi mangia il Figlio attinge da lui quella stessa vita che egli ha ricevuto dal Padre.

Il discorso giunge così alla sua conclusione: «Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (v. 58). Con queste parole Gesù afferma di essere lui il pane disceso dal cielo, perché, diversamente dalla manna, dà una vita che dura eternamente. La sua persona, donata sulla croce per la salvezza di tutta l’umanità e rappresentata nei segni eucaristici del pane e del vino, è dunque il nutrimento dei tempi escatologici, dal quale scaturisce la vita piena nella comunione con il Padre.

Gesù in questo discorso è molto concreto e cerca di mostrarci il cammino da percorrere per essere veramente parte della Sua carne e della Sua esistenza. Gesù con autorità spiega, a noi e ai giudei, che è Lui il fondamento della nostra vita: vero cibo e vera bevanda. La Sua parola e l’Eucarestia sono ciò che ci tiene in vita sulle strade del mondo e ciò che ci dà vita per l’eternità. Non si tratta solo di dar risposta ad un bisogno di cibo ma una risposta al senso della vita che incontriamo nel dono. Gesù si dona a noi totalmente: carne e sangue, nell’incarnazione e nella morte, e ci mostra che anche noi possiamo, accogliendo il suo dono e donandoci agli altri, far parte di questo legame con Lui e con il Padre. La partecipazione dell’Eucarestia infatti, non è fine a sé stessa, ci deve aprire all’incontro con Dio e con l’altro. Occorre uscire dai nostri schemi fissi e dalle nostre paure e lasciarci trasformare da questa partecipazione alla vita divina sia nelle nostre azioni quotidiane sia nella nostra fede.

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