“Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è Lui il Cristo di Dio, l’eletto” (Luca 23,35b): è questa la provocazione con cui si apre l’ultimo vangelo domenicale di questo anno liturgico, che va concludendosi come un compimento di cammino sul Golgota. Ai piedi di un uomo che sta morendo. In croce, beffeggiato. E non solo i capi ma anche i soldati lo deridono, come percuotendolo di nuovo: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” (Luca 23,37). Sembrerebbe un vero malfattore, insomma: eppure la verità non si svela sempre come sembra. O come ci si attende. Sono due i malfattori, ma quel terzo al centro è qualcos’altro. È qualcun altro. È Altro: rispetto alle nostre categorie, ai nostri giudizi, alle nostre giustizie. “Costui è il re dei Giudei” (Luca 23,38b): deriso da sotto e incoronato da sopra, ingiuriato da una parte e supplicato infine dall’altra.
E lui risponde: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Luca 23,43). Si sta esplicitamente riferendo al “buon ladrone”, a colui che ha rimproverato il cosiddetto “cattivo” e si è convertito quasi tra il penultimo e l’ultimo respiro della sua esistenza terrena riconoscendo semplicemente ciò che i suoi occhi stanno vedendo come non mai. Il più bello tra i figli dell’uomo è il Figlio di Dio crocifisso proprio prossimo a lui. E non è stato incoronato solo con un cartiglio ma anche onorato del trono che farà storia per millenni: la croce benedetta dal suo sangue, come porpora regale.
E proprio dal nostro guardare la croce ed essere guardati da essa che si chiarisce ogni paradosso evangelico. Perché anche noi possiamo avere la stessa scaltrezza di quell’uomo che ha fatto il miglior furto della sua vita: Gesù Cristo, Paradiso di vita piena. E anche noi potremmo essere in fondo fortunati ladroni, così: sostituendo la logica dell’amore a quella della sufficienza e della sopravvivenza; sposando i più remoti criteri di fragilità e di debolezza per essere veramente trasfigurati; scegliendo gli ultimi e i peccatori, nelle nostre ordinarietà, conformandoci in verità e in carità al Cristo che si china sulle ferite dell’umanità. E la nostra umanità ha ferite umano-divine che attendono di diventare feritoie di grazia sovrabbondante per noi e per chi ci è affianco. Come un ladrone. Solo la croce può donarci questa giustificazione: per fede libera, volontaria, intelligente.
Non dimenticando che anche per quei capi, per quei soldati, per i ladroni piccoli e grandi, d’ogni tempo e d’ogni luogo, c’è uno spazio di misericordiosa eternità nel Cuore amante del Re che ci tende la mano mentre attende desideroso d’essere anche da noi amato. Gesù Cristo resta Dio, Amore, Capo (cfr. Col 1,18), lassù: e noi liberi di servire colui che si incarna perché è nostro Servo. Re! Liberi di essere re come lui: se come lui iniziamo a svuotarci con sincerità e purezza… Amen!
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XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C
12 Novembre 2016I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)
29 Novembre 2016XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
GESÙ CRISTO: PARADISO DI VITA PIENA
“Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è Lui il Cristo di Dio, l’eletto” (Luca 23,35b): è questa la provocazione con cui si apre l’ultimo vangelo domenicale di questo anno liturgico, che va concludendosi come un compimento di cammino sul Golgota. Ai piedi di un uomo che sta morendo. In croce, beffeggiato. E non solo i capi ma anche i soldati lo deridono, come percuotendolo di nuovo: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” (Luca 23,37). Sembrerebbe un vero malfattore, insomma: eppure la verità non si svela sempre come sembra. O come ci si attende. Sono due i malfattori, ma quel terzo al centro è qualcos’altro. È qualcun altro. È Altro: rispetto alle nostre categorie, ai nostri giudizi, alle nostre giustizie. “Costui è il re dei Giudei” (Luca 23,38b): deriso da sotto e incoronato da sopra, ingiuriato da una parte e supplicato infine dall’altra.
E lui risponde: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Luca 23,43). Si sta esplicitamente riferendo al “buon ladrone”, a colui che ha rimproverato il cosiddetto “cattivo” e si è convertito quasi tra il penultimo e l’ultimo respiro della sua esistenza terrena riconoscendo semplicemente ciò che i suoi occhi stanno vedendo come non mai. Il più bello tra i figli dell’uomo è il Figlio di Dio crocifisso proprio prossimo a lui. E non è stato incoronato solo con un cartiglio ma anche onorato del trono che farà storia per millenni: la croce benedetta dal suo sangue, come porpora regale.
E proprio dal nostro guardare la croce ed essere guardati da essa che si chiarisce ogni paradosso evangelico. Perché anche noi possiamo avere la stessa scaltrezza di quell’uomo che ha fatto il miglior furto della sua vita: Gesù Cristo, Paradiso di vita piena. E anche noi potremmo essere in fondo fortunati ladroni, così: sostituendo la logica dell’amore a quella della sufficienza e della sopravvivenza; sposando i più remoti criteri di fragilità e di debolezza per essere veramente trasfigurati; scegliendo gli ultimi e i peccatori, nelle nostre ordinarietà, conformandoci in verità e in carità al Cristo che si china sulle ferite dell’umanità. E la nostra umanità ha ferite umano-divine che attendono di diventare feritoie di grazia sovrabbondante per noi e per chi ci è affianco. Come un ladrone. Solo la croce può donarci questa giustificazione: per fede libera, volontaria, intelligente.
Non dimenticando che anche per quei capi, per quei soldati, per i ladroni piccoli e grandi, d’ogni tempo e d’ogni luogo, c’è uno spazio di misericordiosa eternità nel Cuore amante del Re che ci tende la mano mentre attende desideroso d’essere anche da noi amato. Gesù Cristo resta Dio, Amore, Capo (cfr. Col 1,18), lassù: e noi liberi di servire colui che si incarna perché è nostro Servo. Re! Liberi di essere re come lui: se come lui iniziamo a svuotarci con sincerità e purezza… Amen!
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