Omelia
Visita all’Ente Ecclesiastico Ospedale “Miulli” in Acquaviva delle Fonti
Acquaviva delle Fonti
6 marzo 2024
“Ma bada a te e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita”
(Dt 4,9)
“Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli”
(M7 5,19)
Le cose che i nostri occhi hanno visto; le cose che i nostri occhi desiderano vedere…
I minimi precetti da non disprezzare, non trascurare, da osservare e valorizzare…
Cosa si vede in un ospedale? Sofferenza, fatica, solitudine, disperazione…
Cosa si desidera vedere? Competenza, guarigione, compagnia, speranza…
Cosa desiderano vedere i medici e gli infermieri e tutto il personale? Un contesto di lavoro (che poi è il loro contesto di missione!) che conservi e non sfinisca le loro energie fisiche, psiche e spirituali; che valorizzi adeguatamente le loro competenze e il loro lavoro, che li aiuti a sostenere il peso di un’attività che non di rado è interessata da tensione, incomprensione e fatica oltre misura.
Gli occhi dei pazienti e dei familiari cosa desidererebbero vedere? Anzitutto, di essere considerati persone, prima che malati; però, sì, persone che desiderano guarire, anche se sanno che non sempre ciò è possibile (a volte sarà possibile, altre volte no, ma ogni persona ha diritto sempre ad essere riconosciuta e trattata come persona, con rispetto, comprensione, empatia). Desidererebbero vedere che l’ambiente ospedaliero e sanitario in genere, pur essendo un’azienda, non può perdere mai la fisionomia di un luogo amico, vicino, interessato alla loro salute e alla loro storia di vita. Non credo che ciò sia pura utopia. Lo è solo fino a quando non si avvera! E l’avveramento dipende da noi tutti!
Ancora, le persone ammalate e i loro familiari (ma in effetti tutti, ognuno di noi) desiderano vedere che i medici e i paramedici non vanno ciascuno sulla propria strada, ma che operino in un contesto di rete, di confronto, che assicuri il giusto approfondimento, il giusto approccio (multidisciplinare) alle diverse questioni cliniche e ad ogni intervento che si reputi necessario.
Infine, i familiari desiderano vedere che non si trovano in un ambiente che li considera un peso ed un intralcio al lavoro, mentre, in realtà, in un’ottica diversa possono divenire una risorsa alla gestione e all’esercizio della cura.
Gli occhi di tutti, poi, gradirebbero vedere una struttura che non perda mai consapevolezza del grande significato terapeutico della bellezza e dell’efficienza. I responsabili delle strutture sanitarie siano costantemente impegnati ad assicurare competenza e disponibilità del personale, ma anche efficienza degli strumenti e dei servizi, bellezza dei luoghi. Tutto ciò, nell’insieme, diviene vera e propria ‘cura’, per tutti (non solo per i cosiddetti pazienti, ma anche per quelli che stanno bene in salute, perché tutti abbiamo sempre bisogno di sperimentare la bellezza e che tutto funzioni secondo le necessità).
Cosa fare per consentire agli occhi della gente, ai nostri occhi di vedere ciò? Osservare scrupolosamente e costantemente i ‘precetti minimi’.
Al centro la persona, non altro. Prima la persona, non altro. Sullo sfondo la persona, non altro.
Come? Etica dell’altruismo. Etica, non carità. Etica, cioè deontologia professionale, dovere professionale (puntualità nel servizio, ascolto, dialogo e attenzione alle richieste o ai bisogni inespressi, ma percepiti, delicatezza,… ma anche concentrazione, osservazione, studio, discernimento, confronto circa gli interventi, le diagnosi, le terapie).
Però, certo, non è scandaloso se invochiamo l’esercizio di qualità umane: sensibilità, simpatia, empatia.
Racconto l’episodio narrato da Luigina Mortari in una recente sua riflessione, a proposito del vero senso della ‘cura’ di una persona…
In sostanza, prendersi cura (a tutto tondo)! Ecco cosa si spera e si desidera vedere!
Giuseppe Russo
Vescovo